di Gianni Chiodi
Secondo molti istituti internazionali oggi in Italia, ma anche nel resto d’Europa con l’eccezione forse dell’Inghilterra e della Germania, la scuola è diventata una
fucina di impreparati.
In termini educativi, culturali ed economici è un forte handicap per un paese che, volendo realizzare le premesse per una convivenza civile ed essere “competitivo”, deve assegnare un ruolo di primo piano alla scuola.
Come mai all’inizio del secolo scorso era rarissimo incontrare studenti di tredici anni che non sapessero leggere e scrivere correttamente, fare di conto, e che non possedessero qualche rudimento di storia e geografia ? E per quale misteriosa ragione, invece,
oggi la scuola dell’obbligo non riesce ad offrire quello che offriva la scuola di cento anni fa ?
A mio giudizio perchè manca una “politica di civiltà”.
I professori, in altre parole, non sanno più incarnare il senso del progresso. Hanno perso la consapevolezza del ruolo di
educatori, che invece avevano un secolo fa.
Ma non si tratta di una critica contro una categoria cardine per la società, anzi sono anche loro le vittime di una responsabilità culturale legata al contesto generale, prima che frutto di una scelta di singoli.
E questa responsabilità culturale deriva dall’eredità del ’68 che in Italia è durato almeno dieci anni. Naturalmente mi riferisco agli epigoni di quella fase storica e non alle vicende del 1968 ed alle ragioni, alcune finanche meritevoli, che le ispirarono. Gli epigoni del 1968 hanno voluto mettere sul banco degli imputati l’
autorità in tutte le sue forme. Hanno voluto sconfessare ogni
gerarchia. Hanno affermato che l’allievo vale quanto il maestro, che non si deve dare il voto per non fare una classifica e non creare un trauma in chi va male. Che bisognava “dare il sei politico” che si potevano fare gli esami di gruppo.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. E si riassume in un doppio dramma: i professori, deprivati del prestigio necessario a trasmettere il potere e la conoscenza, sono squalificati ed irrisi. Impotenti a fronteggiare un compito per il quale sono a corto di strumenti e di ricompense economiche.
Il crollo della scuola negli ultimi decenni è la diretta conseguenza del lassismo e della ideologia sessantottina, che ha sdoganato ovunque il relativismo culturale, predicando l’idea di una generale equipollenza tra le cose.
Finita la gerarchia, rifiutati i valori, è scomparsa anche la gerarchia della conoscenza e la stessa legittimità, per esempio, dei grandi capolavori del passato. Se il disegno di un bambino vale quanto quello di Michelangelo, se per gli ispettori scolastici ormai non c’è più alcuna differenza, in termini di pedagogia dell’apprendimento tra l’esercitarsi sull’
Apologia di Socrate o sulle avventure di Harry Potter, se la lettura di un articolo di giornale, pur utile, può sostituire quella dei Promessi Sposi, perché tanto a nulla serve la cultura e il romanzo del 800 per chi vuole solo cavarsela nella vita, allora diventa inutile fare qualsiasi sforzo per cercare di capire il meccanismo di composizione di un’opera letteraria.
Ma c’è
Internet dicono gli avanguardisti. Ma se vogliamo che la rete sia uno strumento di emancipazione e non di alienazione, bisogna che i ragazzi apprendano di nuovo a pensare. E per riuscirci non c’è altro modo che aprire loro la mente, facendola tornare a studiare i classici seppur con metodi pedagogici diversi dal passato.
E’ forse questa una risposta paradossale per una persona che, con alcune eccezioni, si ritiene un liberale ? Forse no, se è vero che in qualunque attività lavorativa, a più grande qualità è quella di saper comunicare, farsi capire, saper esporre, illustrare. Un architetto o un ingegnere geniale non vale molto se non sa preparare una relazione illustrativa. Ed anche perché la vita non è solo “pane” ma anche “spirito” e quindi godimento della bellezza.
E poi sopprimere la selezione a scuola non significa democratizzare la cultura, come lungamente pensato da certa cultura di sinistra.
Significa solo penalizzare i più bisognosi e favorire ancora di più i privilegiati, che possono iscriversi a una scuola privata o pagarsi le ripetizioni di un professore a domicilio. Un risultato questo che va in senso esattamente opposto alla pretesa di uguaglianza. E c’è ancora chi per evitare questo risultato anziché qualificare la scuola pubblica combatte la scuola privata per un presunto
egualitarismo che però è in basso.
Dunque meglio rendere democratica la cultura fornendo tutti gli strumenti per capire Seneca - ai figli dei benestanti borghesi e a quelli degli immigrati – nelle scuole pubbliche, piuttosto che continuare a ingannare gli uni e gli altri con la vecchia storiella, che da noi ha fatto la fortuna di un nichilista eccellente come Umberto Eco e dei suoi molti seguaci, che l’alto e il basso si confondono e si equivalgono, che persino il gossip, il rap e il filmetto porno da passarsi sul telefonino hanno, in fondo, la stessa sofisticazione e dignità delle
Lettere a Lucilio.
Non è vero !
E insistere ad affermare il contrario significa continuare ad infliggere un detrimento all’intera società che, alla lunga, produce danni altissimi.
Ma tutto diventa impossibile da assimilare se un professore non riesce a convincere l’allievo a imparare una cosa che non lo interessa perché è il primo a pensare che il giudizio dell’allievo valga, dopotutto, quanto il suo.
Alla fine, a disertare la scuola è il principio stesso di autorità, è la stessa gerarchia a venire dissolta. E però, diversamente da quanto sostenevano gli utopisti libertari del ’68,
la fine dell’autorità e la morte della gerarchia non hanno come risultato la giustizia, l’uguaglianza, men che meno la libertà. Bensì il loro perfetto contrario per tutti quelli che, non avendo altra scelta, senza il motore di una scuola severa e dell’emulazione resteranno per sempre
inchiodati alla loro origine.
Ecco la necessità di una scuola nuova, dove lo sport insegni a superare se stessi, nel rispetto degli altri, dove la cultura tecnica sia parte integrante della cultura generale e dove un posto importante sia riservato alla conoscenza anche delle lingue straniere. Ridare poi prestigio agli insegnanti permettendo a chi vuole lavorare di più di guadagnare di più,
sovvenzionare gli studi dei migliori allievi destinati all’insegnamento, e assicurare libertà didattica, autonomia e responsabilità.
Finiamola, poi, una volta per tutte con l’ideologia del ’68 che considera infausta l’influenza della famiglia. Finiamola con l’idea di formare il bambino contro la società, insegnandogli il rancore e la rivendicazione. Finiamola di deresponsabilizzarci attribuendo le colpe individuali alla “società di oggi” oppure alla società “consumistica” o, ultima ad entrare, alla società “globalizzata” La chiave di molti problemi giovanili è nella famiglia e nella sua responsabilizzazione. Far credere ad un bambino che può ottenere tutto senza sforzo, che studiare non serve perché la vita è gioco, che la libertà è poter avere senza vincoli e godere senza limiti, e che questo presupporrebbe la società di oggi, significa tradirlo.
Ed invece insegniamogli la verità (quella vera non quella che usiamo spesso a giustificazione dei nostri insuccessi) e cioè chi è più preparato, chi si sforza di studiare o lavorare di più tranne le eccezioni - per la verità più ricorrenti nel settore pubblico - avrà maggiori soddisfazioni.
Per troppo tempo l’educazione è rimasta fuori della politica, come se la politica si vergognasse di avventurarsi sul terreno dell’intelligenza, dell’arte, della morale, e fosse condannata al silenzio della gestione. E’ invece no, la Politica è fatta di principi e di valori, di passioni e sentimenti. E’ fatta di idee. Non è semplice gestione. Per questo deve rimettere la scuola al centro del suo progetto e rifondarla, ridandole forza e autorità.
Con questi auspici auguro buon lavoro al personale della scuola ed in particolare ai docenti: nelle loro mani è la prossima generazione di cittadini di Teramo.